Consumare una dieta ad alto contenuto di grassi e zuccheri provoca un dannoso accumulo di grasso nel fegato che potrebbe non regredire anche dopo il passaggio a una dieta più sana, secondo un nuovo studio degli scienziati della Weill Cornell Medicine e del Memorial Sloan Kettering Cancer Center.
Per lo studio, pubblicato il 3 ottobre su Science Translational Medicine, i ricercatori hanno sviluppato un nanosensore in grado di rilevare e monitorare in modo non invasivo l’accumulo di grasso nel fegato. Hanno usato il sensore per valutare gli effetti di una dieta ricca di grassi e ad alto contenuto di zucchero sul fegato dei topi. Hanno poi valutato i risultati quando i topi sono tornati a una dieta sana. Inaspettatamente, i ricercatori hanno scoperto che, mentre l’ accumulo di grasso diminuisce dopo il ritorno a una dieta sana, alcuni grassi residui rimangono in alcune cellule epatiche per molto tempo.
“seguire una dieta insalubre anche per poco tempo è una cattiva idea”, ha detto l’autore senior, il Dott. Daniel Heller, Professore associato nel programma di Farmacologia e Fisiologia, Biofisica e Biologia dei sistemi presso la Weill Cornell Graduate School of Medical Sciences e responsabile del Cancer Nanomedicine Laboratory presso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center, “Il fegato ricorda“.
La malattia del fegato grasso non alcolica (NAFLD) colpisce fino al 30 per cento delle persone negli Stati Uniti, dove seguire una dieta ad alto contenuto di grassi e ricca di zucchero, è comune. I pazienti con NAFLD sviluppano un accumulo di grasso in eccesso nel loro fegato. La condizione può progredire in una malattia più grave con infiammazione, cicatrici e persino causare il cancro del fegato. Le persone che accumulano grasso all’interno delle cellule del fegato chiamate cellule di Kupffer, in particolare in una parte di queste cellule chiamate lisosomi, sembrano avere più probabilità di progredire verso una grave malattia del fegato.
(Vedi anche: Steatosi epatica non alcolica: i metaboliti liberati dal microbiota intestinale tengono a bada l’ infiammazione).
“La malattia del fegato grasso è una preoccupazione crescente nella clinica ed è rapidamente è diventata una delle principali cause di malattia del fegato negli Stati Uniti e in Europa”, ha detto il co-autore ed epatologo Dr. Robert Schwartz, un assistente Professore di medicina alla Weill Cornell e assistente Professore nel programma di fisiologia, biofisica e biologia dei sistemi presso la Weill Cornell Graduate School of Medical Sciences. “Attualmente non abbiamo terapie mediche per la malattia del fegato grasso, diciamo ai nostri pazienti di mangiare meglio e di esercitarsi di più, il che, come si puo’ immaginare, non è molto efficace”.
Attualmente alcuni strumenti di imaging come gli ultrasuoni o la risonanza magnetica possono aiutare a identificare le persone con fegato grasso, ma queste tecniche spesso forniscono informazioni poco dettagliate. Il nanosensore del Dr. Heller è il primo a rilevare in modo non invasivo il grasso nei lisosomi delle cellule di Kupffer, identificando potenzialmente i pazienti più a rischio.
Il piccolo sensore è circa 1000 volte più piccolo della larghezza di un capello umano ed è fatto di DNA a filamento singolo avvolto attorno a un nanotubo di carbonio a parete singola. L’accumulo di grasso nei lisosomi cambia il colore della luce emessa dal nanosensore ed è stato osservato per la prima volta nelle cellule vive nel laboratorio del Dott. Heller da Prakrit Jena, ricercatore associato alla MSKCC e allievo di Thomas Galassi, studente della Weill Cornell.
Quando i nanosensori vengono iniettati in un topo, il fegato li filtra dal sangue e poi vengono consumati dai lisosomi dell’organo. Un dispositivo simile a una torcia a infrarossi iniettato con questi nanosensori fa sì che i sensori si illuminino. Il colore della luce che corrisponde al contenuto di grasso nel fegato, consente al Dr. Heller ed ai suoi colleghi di misurare il grasso in modo non invasivo.
Oltre a misurare la progressione della malattia, questi nanosensori possono anche aiutare ad accelerare la ricerca sulla malattia del fegato grasso e il suo trattamento. “Un biosensore in grado di rilevare questo tipo di accumulo di grasso potrebbe accelerare la ricerca verso trattamenti per la steatosi epatica e altre condizioni legate ai lipidi e potenzialmente portare a miglioramenti diagnostici”, ha detto il Dott. Heller.
Fonte: Science