I ricercatori della UCLA hanno fornito la prima evidenza che un semplice esame del sangue può confermare la presenza di proteine beta amiloidi nel cervello, un segno distintivo dell’alzheimer.
Attualmente non esiste alcun test del sangue affidabile per la diagnosi della condizione. Il nuovo test, che utilizza la presenza di biomarker, la firma di proteine nel sangue che indica la presenza della malattia, ptrebbe essere un avanzamento chiave nella diagnosi dell’alzheimer.
Lo studio è stato condotto dalla D.ssa Liana G. Apostolova, Direttore del laboratorio di neuroimaging presso il Mary S. Easton Center for Alzheimer’s Disease Research alla UCLA e capo del team di ricerca.
I risultati della ricerca sono apparsi sulla rivista Neurology.
Attualmente, per determinare la caratteristica formazione di placche beta amiloidi nell’alzheimer, esistono due metodi. Uno consiste nell’esame del fluido cerebrospinale ottenuto dai pazienti attraverso una procedura invasiva che comporta il rischio di danni ai nervi e può avere altri gravi effetti collaterali, l’altro metodo, amiloide PET, espone i soggetti alle radiazioni.
I ricercatori della UCLA hanno sviluppato un semplice test del sangue che rileva la presenza di proteine note per essere associate con la malattia, da utilizzare insieme a informazioni di rouitine quali test di memoria e risonanza magnetica.
” Il nostro test suggerisce che la presenza di alcune proteine nel sangue può essere un indicatore di placche beta amilodi nel cervello e può essere un metodo sicuro e non invasivo di diagnosi della malattia di alzheimer. Abbiamo bisogno di migliorare e perfezionare la presenza di questa” firma” nel sangue, introducendo nuovi parametri correlati alla malattia, ma il test è fattibile e potrebbe essere in breve tempo sul mercato”, ha dichiarato la ricercatrice.
Anche se non esiste un trattamento che può fermare o invertire la progressione della malattia di alzheimer, un test non invasivo, economico ed affidabile per la diagnosi della malattia potrebbe risparmiare alle persone affette da demenza e alle loro famiglie, l’ansia associata all’incertezza e migliorare la loro probabilità di beneficiare in anticipo di attuali e futuri trattamenti.
Questo test potrebbe avere un impatto importante anche sulla ricerca. ” Abbiamo rilevato che con l’avvento della scansione PET amiloide, il 25/30 % dei soggetti che si iscrivono agli studi clinici della malattia di alzheimer, risultano non affetti dalla malattia e questo rende difficile misurare gli effetti del trattamento in fase di sperimentazione”, ha concluso la D.ssa Apostolova.