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Psoriasi: dimostrata l’efficacia dell’ixekizumab

La psoriasi è una malattia cronica, immunomediata e infiammatoria che colpisce circa il 2-3% della popolazione mondiale, con una significativa variabilità geografica nella prevalenza e nella gravità. La psoriasi a placche, la forma clinica più diffusa, rappresenta l’85-90% dei casi ed è associata a notevoli compromissioni della qualità della vita, derivanti da deturpazione fisica, prurito e comorbilità psicologiche, tra cui depressione e ansia.
Oltre al coinvolgimento cutaneo, fino al 30% degli individui con psoriasi sviluppa l’artrite psoriasica, un’artropatia infiammatoria cronica caratterizzata da progressivo danno articolare e disabilità funzionale. Inoltre, le forme moderate-gravi di psoriasi sono spesso collegate a comorbilità sistemiche, come la sindrome metabolica, le malattie cardiovascolari e la steatoepatite non alcolica, sottolineando ulteriormente la sua natura sistemica e l’importanza per la salute pubblica.
Le attuali strategie terapeutiche per la psoriasi mirano a raggiungere una clearance cutanea sostenuta.

Secondo uno studio pubblicato online sul Journal of Clinical Medicine, l‘ixekizumab è efficace e sicuro per i pazienti affetti da psoriasi a placche da moderata a grave, mentre la terapia di induzione migliora la risposta iniziale.

L’ixekizumab è un anticorpo monoclonale IgG4 umanizzato ricombinante che si lega selettivamente all’interleuchina-17A (IL-17A), una citochina proinfiammatoria fondamentale nella patogenesi della psoriasi. Inibendo l’IL-17A, l’ixekizumab interrompe il ciclo di feedback infiammatorio responsabile dell’iperproliferazione dei cheratinociti e dell’infiltrazione delle cellule immunitarie, portando a miglioramenti rapidi e duraturi nei sintomi cutanei. 

Ricardo Ruiz-Villaverde, MD, Ph.D., dell’Hospital Universitario San Cecilio di Granada, Spagna e colleghi, hanno condotto uno studio osservazionale multicentrico su 183 pazienti con psoriasi a placche da moderata a grave per esaminare l’efficacia nel mondo reale, la sicurezza e la sopravvivenza del farmaco ixekizumab con e senza una fase di induzione. I pazienti sono stati divisi in un gruppo di induzione (160 mg al basale, seguiti da 80 mg ogni due settimane per 12 settimane, quindi ogni quattro settimane) e un gruppo di non induzione (80 mg ogni quattro settimane dall’inizio).

I punteggi Baseline Psoriasis Activity Skin Index (PASI) e Physician Global Assessment erano più alti nel gruppo di induzione, indicativi di una maggiore gravità della malattia. I ricercatori hanno osservato significativi miglioramenti clinici con entrambi i regimi, con risposte iniziali più rapide nel gruppo di induzione.

Una sopravvivenza al farmaco inferiore è stata osservata nel gruppo di induzione, probabilmente a causa di un carico di malattia e di una gravità basali più elevati. Le comorbilità erano prevalenti, specialmente nel gruppo di induzione e includevano sindrome metabolica, rischi cardiovascolari e condizioni psichiatriche.

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Mentre la terapia di induzione sembra migliorare le risposte iniziali al PASI, miglioramenti significativi a lungo termine possono essere ottenuti anche senza induzione, in particolare nei pazienti con attività di malattia basale inferiore”, scrivono gli autori. “Questi risultati sottolineano la versatilità e la durata dell’ixekizumab come opzione terapeutica, anche in popolazioni con esperienza di trattamento“.

Spiegano gli autori:

L’ixekizumab è un anticorpo monoclonale IgG4 umanizzato ricombinante che si lega selettivamente all’interleuchina-17A (IL-17A), una citochina proinfiammatoria fondamentale nella patogenesi della psoriasi. Inibendo l’IL-17A, l’ixekizumab interrompe il ciclo di feedback infiammatorio responsabile dell’iperproliferazione dei cheratinociti e dell’infiltrazione delle cellule immunitarie, portando a miglioramenti rapidi e duraturi nei sintomi cutanei“. 

Fonte:Journal of Clinical Medicine

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