Un team di ricerca internazionale della Rush University Medical Center, ha acquisito nuove importanti infomazioni sull’ipotiroidismo che possono portare allo sviluppo di nuovi protocolli di trattamento della malattia, in particolare per circa il 15% dei pazìenti per i quali i trattamenti standard sono meno efficaci.
Lo studio è stato pubblicato dalla rivista Journal of Clinical Investigation e dalla rivista Clinical Endocrinology&Metabolism.
L’ipotiroidismo si verifica quando la tiroide non riesce a produrre quantità sufficienti di due ormoni: la tiroxina nota come T4 e la sua forma più attiva chiamata T3. La condizione può causare una serie di problemi tra cui aumento di peso, stanchezzza, cute fredda e intolleranza alle basse temperature, affaticamento fisico, sonnolenza, depressione, riduzione della frequenza cardiaca, stitichezza, gonfiore del viso, sviluppo di un rigonfiamento alla base del collo (gozzo), anomalie mestruali, crescita ridotta e difficoltà di apoprendimento nei bambini.
Per decenni, un trattamento standard è stato un supplemento quotidiano chiamato T4 levotiroxina. Una volta assorbito nel corpo, T4 si trasforma in T3, normalizzando, in teoria, completamente i livelli ematici di T3. Tuttavia, i medici sono rimasti a lungo perplessi dal fatto che questo trattamento non riesce ad alleviare i sintomi nel 15% dei pazienti.
Lo studio, condotto sui ratti le cui ghiandole tiroidee erano state rimosse, spiega la base cellulare per cui i livelli circolanti di T3 non sono completamente normalizzati dal solo trattamento con la levotiroxina.
Inoltre lo studio rivela che i livelli di T3 nell’ipotiroidismo possono essere corretti completamente, quando il regime levotiroxina viene integrato con T3. Infatti i risultati della sperimentazione hanno dimostrato che la terapia combinata levotiroxina e T3, ha normalizzato l’azione dell’ormone tiroideo nelle zone del corpo comunemente colpite da ipotiroidismo che sono cervello, fegato e muscoli.
“Naturalmente è importante confermare questi risultati in studi clinici. I pazienti ipotiroidei non sono tutti uguali. Alcuni rispondono meglio alla terapia di combinazione, altri no. La sfida è identificare queste persone e capire perchè esistono queste differenze”, ha detto il Dr Antonio Bianco della Rush University e autore principale dello studio.
Questo punto è stato esplorato nello studio pubblicato nell’JCEM, in cui i ricercatori hanno esaminato un comune polimorfismo ( una mutazione genetica frequente) nell’enzima noto come D2 che trasforma T4 in T3. In un precedente studio, i pazienti ipotiroidei con questo polimorfismo, hanno risposto bene alla terapia di combinazione e questo ha portato Bianco ed il suo team ad esplorare il rapporto tra polimorfismo e fallimento della terapia standard. Lavorando con campioni di cervello donati da pazienti morti, il team ha riscontrato che il polimorfismo D2 ha la tendenza ad accumularsi in un compartimento cellulare che normalmente non contiene D2.
Questo accumulo anomalo di D2 distrugge la funzione delle cellule in un modo osservato anche nel cervello di pazienti affetti da malattie neurodegenerative come il morbo di Huntington.
” E’ possibile che il polimorfismo D2 sia un fattore di rischio per la malttia neurodegenerativa che potrebbe essere aggravata quando questi pazienti sviluppano l’ipertiroidismo”, ha detto il Dr Bianco.
Fortunatamente è possibile trattare il polimorfismo D2: ” Alcuni dei geni interessati nel polimorfismo D2 erano indicativi di stress ossidativo. Quando abbiamo trattato le cellule che contengono polimorfismo D2, con una sostanza che neutralizza lo stress ossidativo, l’espressione di questi geni si è normalizzata. Se confermati da ulteriori studi, i risultati sul polimorfismo D2 spiegano perchè non tutti i pazienti ipotiroidei sono uguali e perchè alcuni sono più esposti a fattori di rischio per la diminuzione della funzione cognitiva. La medicina personalizzata, raggiunta nell’ipotiroidismo, potrebbe garantire un trattamento efficace al 100% dei pazienti “, ha concluso il ricercatore.
Fonte: Differences in hypothalamic type 2 deiodinase ubiquitination explain localized sensitivity to thyroxine , J Clin Invest. doi:10.1172/JCI77588.