Nuove ricerche sulla malattia autoimmune del lupus eritematoso sistemico (SLE) forniscono suggerimenti sulle origini di questo disturbo enigmatico.
I risultati dello studio sono stati pubblicati su Nature Immunology.
Nelle persone con lupus eritematoso sistemico, le cellule B – parte del sistema immunitario – sono attivate in modo anormale e producono anticorpi che reagiscono contro i loro stessi tessuti, causando una varietà di sintomi, come affaticamento, dolori articolari, eruzioni cutanee e problemi ai reni.
Gli scienziati della Emory University School of Medicine hanno dimostrato che nelle persone con SLE i segnali che guidano l’espansione e l’attivazione della malattia sono presenti in uno stadio precedente di differenziazione delle cellule B, rispetto a quanto precedentemente apprezzato. Hanno identificato modelli di attività genica che potrebbero essere utilizzati come biomarcatori per lo sviluppo della malattia.
“I nostri dati indicano la presenza di una malattia in tutti i sottogruppi di cellule e soprattutto nelle cellule B mature, suggerendo che tali cellule potrebbero essere state esposte a segnali che inducono la malattia”, scrivono gli autori.
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La ricerca nasce da una collaborazione tra i laboratori di Jeremy Boss, Presidente di microbiologia e immunologia e Ignacio (Iñaki) Sanz, capo della divisione di reumatologia nel Dipartimento di Medicina. Sanz, destinatario del Lupus Insight del 2019 Lupus Research Alliance, è Direttore del Lowance Center for Human Immunology e della Georgia Research Alliance Eminent Scholar. Il primo autore dello studio è Christopher Scharer, assistente Professore di microbiologia e immunologia.
I ricercatori hanno studiato campioni di sangue di 9 donne afro-americane con lupus eritematoso sistemico e 12 controlli sani. Per prima cosa hanno classificato le cellule B in sottoinsiemi e poi hanno esaminato il DNA nelle cellule B delle donne, analizzando i pattern dell’attività dei geni. La squadra di Sanz aveva precedentemente osservato che le persone affette da lupus eritematoso sistemico hanno un’espansione di cellule “naïve attivate” e DN2 B, specialmente durante i periodi in cui i loro sintomi sono peggiori.
Esaminando i parametri epigenetici – tratti ereditari non codificati nella sequenza del DNA – e schemi di attività genica, i ricercatori hanno potuto vedere segni di attivazione in cellule B “naive a riposo”, che precedono le cellule naive attivate. Sono stati in grado di supporre che le cellule naive a riposo vengano stimolate attraverso particolari percorsi recettori.
Questo studio “fornisce una finestra importante per capire i primi antigeni innescanti”, scrivono gli autori che sono stati anche in grado di identificare le reti di regolazione che guidano il fenotipo della malattia nelle cellule B. Insieme, questi risultati aprono nuove strade per future indagini e interventi terapeutici.