Immagine: nei campioni post-mortem di individui con Parkinson, le cellule cerebrali indicano astrociti con evidenti segni di senescenza cellulare. Credito: Georgia Woods, PhDBuck Institute for Research on Aging.
La pulizia sistemica degli astrociti senescenti previene la neuropatologia del Parkinson e i sintomi associati in un modello murino della malattia sporadica, il tipo implicato nel 95% dei casi umani. Pubblicando in Cell Reports, i ricercatori del laboratorio Andersen presso il Buck Institute, forniscono una nuova potenziale via terapeutica per l’incurabile, progressivo disturbo neurologico che colpisce fino a un milione di americani, privandoli della capacità di controllare il movimento.
Le cellule senescenti, che smettono di dividersi in risposta allo stress, secernono fattori deleteri che causano danni ai tessuti e portano a un’infiammazione cronica. In questo studio, la senescenza è stata attivata dall’esposizione all‘antiparassitario Paraquat, una neurotossina formalmente collegata allo sviluppo del morbo di Parkinson nei lavoratori agricoli nel 2011.
“La senescenza è stata implicata nel morbo di Parkinson e in altre malattie neurodegenerative, ma riteniamo che questa sia la prima volta che la rimozione delle cellule infiammatorie impedisce ai sintomi di svilupparsi in un mammifero vivo”, ha detto Julie K. Andersen, Professoressa del Buck e autrice senior dell’articolo.
Questa ricerca è insolita dato che si concentra sulla senescenza negli astrociti, le cosiddette cellule “helper” che svolgono una varietà di compiti, dalla guida degli assoni e supporto sinaptico al controllo della barriera emato-encefalica e del flusso sanguigno. Anche se gli astrociti sono il tipo di cellula più numeroso all’interno del sistema nervoso centrale, Andersen afferma che essi sono stati sottovalutati nella maggior parte delle ricerche di base sulle neuroscienze. Secondo la ricercatrice, la stragrande maggioranza della ricerca sul Parkinson si è concentrata sulla tossicità che colpisce direttamente i neuroni specifici implicati nella malattia, “ma nessuno ha elaborato un trattamento efficace basato su tale approccio”. Questa ricerca suggerisce che gli astrociti senescenti possono contribuire allo sviluppo della malattia di Parkinson.
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La ricerca, guidata da Shankar Chinta, postdottorando Georgia Woods, ha dimostrato che il tessuto postmortem di pazienti con Parkinson mostra una maggiore senescenza astrocitaria e che gli astrociti umani in coltura, esposti al Praquat, diventano anch’essi senescenti.
I topi utilizzati in questa ricerca avevano sei mesi di età, l’equivalente umano di circa 34 anni. Il laboratorio di Andersen spera di studiare l’impatto della senescenza astrocitaria nei topi, in vari stadi della durata della loro vita per vedere se il Parkinson può essere invertito oltre a essere prevenuto. “L‘infiammazione cronica alimentata dalla senescenza causa molte malattie legate all’età ed è abbastanza probabile che il morbo di Parkinson sia tra queste”, afferma Andersen che aggiunge che l’infiammazione astrocitaria può avere un ruolo in altre malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.
C’è un bisogno disperato di trattamenti per il Parkinson. Si stima che tra sette e dieci milioni di persone vivano con la malattia in tutto il mondo. Oltre al tremore a riposo e alla difficoltà nel camminare e nell’equilibrio, il Parkinson porta anche al declino cognitivo e alla depressione, con sintomi che diventano più gravi con il progredire della malattia. Circa il 5% dei casi è di origine genetica. Si ritiene che il resto sia causato da una combinazione di fattori genetici e ambientali come la storia familiare, mutazioni genetiche, esposizione a pesticidi o metallo.
Fonte: Buck Institute