Le infezioni da adenovirus hanno una progressione lieve della malattia nelle persone sane, ma possono essere pericolose nelle persone immunocompromesse. Se un paziente, infettato dal virus sviluppa anche un’infezione batterica, può avere una eccessiva risposta infiammatori ossia “una tempesta di citochine”, un’ eccessiva reazione da parte del sistema immunitario che porta ad elevate concentrazioni di proteine che promuovono l’infiammazione. Molti pazienti non sopravvivono a questa crisi.
Mareike Maler dell’Ospedale Universitario di Freiburg, la Dr.ssa Marina Freudenberg del Dipartimento di Pneumologia presso l’Università di Friburgo e Centro BIOSS per gli Studi di Segnalazione Biologica, il Dr. György Fejer dell’Università di Plymouth in Inghilterra insieme al Prof. Dr. Wolfgang Schamel del Dipartimento di Biologia e il Centro BIOSS per gli studi sulla Segnalazione Biologica hanno ora individuato un importante recettore dell’adenovirus nei macrofagi dei topi. Il recettore, chiamato “MARCO” consente agli adenovirus di invadere i macrofagi, importanti cellule immunitarie responsabili della rilevazione e della distruzione degli agenti patogeni.
I risultati di questo studio, in cui sono stati coinvolti anche gli immunologi del MPI di Immunobiologia e Epigenetics Freiburg, RWTH Aachen e dell’Università di Zurigo, sono stati recentemente pubblicati nella rivista scientifica MBio .
Precedenti studi con cellule epiteliali del tessuto cutaneo e delle ghiandole hanno dimostrato che i virus si legano alle proteine della superficie cellulare chiamate integrin e a CAR, il recettore per il coxsackievirus e l’adenovirus. I biologi hanno cercato il recettore dell’ adenovirus nelle cellule immunitarie fin dagli anni ’90.
La ricerca di Freiburg ha cercato di chiarire come gli adenovirus attaccano le cellule del sistema immunitario e quali sono i recettori della superficie cellulare che i virus utilizzano al fine di invadere la cellula.
La risposta a questa domanda è di particolare interesse perché l’industria farmaceutica ha recentemente mostrato interesse nell’uso di adenovirus nella terapia genica per canalizzare le informazioni genetiche nelle cellule umane. Durante i primi studi clinici, tuttavia, alcuni pazienti hanno mostrato sintomi di una “tempesta di citochine“, suggerendo di aver contratto un’infezione batterica.
Fino ad ora, il recettore scavenger MARCO è stato visto principalmente come un recettore di riconoscimento del pattern con il quale il macrofago riconosce i batteri. Tuttavia, i nuovi risultati dimostrano che il recettore ha una funzione aggiuntiva nella lotta contro gli agenti patogeni virali. MARCO è probabilmente fondamentale per attivare i macrofagi per esempio, per produrre citochine che stimolano l’infiammazione. Inoltre, i ricercatori dimostrano che i macrofagi derivati dalle cellule del precursore del midollo osseo sono molto meno infettati dal virus rispetto ai macrofagi nel polmone. La ragione di ciò è in parte perché i macrofagi del midollo osseo normalmente mancano di MARCO e quindi non possono essere efficacemente attaccati dal virus.
Dopo questi risultati, è giunto il momento di condurre test sull’uomo. Anche se il recettore MARCO si trova anche negli esseri umani, non è ancora chiaro se il virus interagisce con lo stesso recettore negli esseri umani. Tuttavia, lo studio ha fornito informazioni su come i macrofagi combattono i virus e dimostrato che hanno il potenziale di attivare una “tempesta di citochine” negli esseri umani. In futuro, i farmaci potrebbero essere usati per bloccare il recettore MARCO, evitando così la tempesta di citochine.
Marina Freudenberg sta studiando l’attivazione dei macrofagi dal 1972. Dal 2013 lavora nel dipartimento di Wolfgang Schamel del Dipartimento di Biologia presso il Centro BIOSS per gli Studi di Segnalazione Biologica e presso il Dipartimento di Pneumologia dell’Università di Friburgo. Mareike Maler, primo autore dello studio, è un ricerctore della György Fejer sotto la guida di Marina Freudenberg. Maler sta seguendo il suo Dottorato di Ricerca presso il gruppo di lavoro del Prof. Dr. Stefan Martin del Dipartimento di Dermatologia dell’Università di Friburgo.
Fonte: MBio