La dipendenza da cocaina può influenzare la modalità del corpo di elaborazione del ferro e portare ad un accumulo del minerale nel cervello, secondo una nuova ricerca condotta dall’Università di Cambridge.
Lo studio, pubblicato dalla rivista Translational Psychiatry, fa sperare nella individuazione di un biomarker – una misura biologica della dipendenza – che potrebbe essere utilizzato come obiettivo per i trattamenti futuri.
La cocaina è una delle droghe illecite più diffuse nel mondo occidentale. Un rapporto dello scorso anno dell’ UK government’s Advisory Council on the Misuse of Drugsa ha rilevato che circa una persona su 10 di età compresa tra i 16 e 59 anni ha fatto uso di cocaina nella vita. Nonostante i progressi significativi nella comprensione della biologia della dipendenza e della differenza strutturale del cervello delle persone dipendenti da cocaina, non esiste attualmente alcun trattamento medico per questa dipendenza.
Un team di ricercatori guidato dal Dr. Karen Ersche del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Cambridge ha esaminato il tessuto cerebrale di 44 persone che erano dipendenti da cocaina e 44 volontari sani di controllo. Nel gruppo dei dipendenti da cocaina, il team ha rilevato una quantità eccessiva di ferro in una regione del cervello nota come globo pallido che agisce normalmente come ‘freno’ per inibire il comportamento.
Particolarmente sorprendente è il fatto che la concentrazione di ferro in questa zona è direttamente collegata al tempo in cui si è consumata la cocaina – in altre parole, più lungo è il periodo che i partecipanti hanno fatto uso di cocaina, maggiore è l’accumulo di ferro. Allo stesso tempo, l’aumento della concentrazione di ferro nel cervello è stato accompagnato da carenza di ferro nel resto del corpo, suggerendo chela regolazione del ferro in generale è interrotta nelle persone con dipendenza da cocaina.
( Vedi anche:Scoperto meccanismo che riduce gli effetti della cocaina sul cervello).
“Dato il ruolo importante che il ferro gioca sia nella salute che nella malattia, il metabolismo del ferro è normalmente strettamente regolato”, spiega il Dr. Karen Ersche del Dipartimento di Psichiatria. “L’uso di cocaina a lungo termine, tuttavia, sembra interrompere questo processo di regolazione e può causare danni significativi”.
” Il ferro è utilizzato dal corpo per produrre globuli rossi, quindi, la carenza di ferro nel sangue significa che organi e tessuti non possono ottenere la quantità di ossigeno di cui hanno bisogno. D’altra parte, sappiamo che eccessivo ferro nel cervello è associato a morte cellulare che è ciò che spesso vediamo nelle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o il morbo di Parkinson”, ha aggiunto Ersche.
I ricercatori di Cambridge ora mirano a identificare i meccanismi con cui la cocaina interagisce con la regolazione del ferro. Il Dr Ersche ritiene che il meccanismo più probabile è che la cocaina sconvolge il metabolismo del ferro, eventualmente riducendo l’assorbimento del ferro dagli alimenti e aumentando la permeabilità della barriera emato-encefalica così che più ferro entra nel cervello, dove può accumularsi.
Sebbene eccesso di ferro nel cervello sia associato alla neurodegenerazione, non vi è alcuna indicazione che la dipendenza da cocaina porta ad un aumento del rischio di Alzheimer o morbo di Parkinson. Il meccanismo alla base all’aumento di ferro nel cervello nella malattia di Parkinson, ad esempio, è diverso da quello della dipendenza da cocaina, così come sono differenti le regioni cerebrali colpite.
Come micronutriente essenziale, il corpo può rifornirsi di ferro soltanto attraverso la dieta e non può eliminarlo se non attraverso la perdita di sangue. I ricercatori ora vogliono capire se i mezzi di correzione delle interruzioni nel metabolismo del ferro potrebbero rallentare o addirittura invertire l’accumulo di ferro nel cervello e infine, aiutare le persone colpite a recuperare con successo dalla dipendenza da cocaina.
Questo lavoro è stato finanziato dal Medical Research Council e condotto al the NIHR Cambridge Biomedical Research Centre e al Behavioural and Clinical Neuroscience Institute.
Fonte: UK