Come le nanoparticelle d’oro possono penetrare le pareti cellulari.
Le cellule sono molto brave a proteggere il loro prezioso contenuto e di conseguenza, è molto difficile penetrare la membrana delle loro pareti per fornire farmaci, sostanze nutritive o biosensori, senza danneggiare o distruggere la cellula stessa. Un modo efficace per attraversare la membrana cellulare, scoperto nel 2008, è quello di utilizzare le nanoparticelle di oro puro, ricoperte da un sottile strato di un polimero speciale. Ma nessuno, fino ad oggi, sapeva esattamente perché questa combinazione funziona così bene.
Ora, i ricercatori del MIT e dell’Ecole Polytechnique di Losanna in Svizzera, hanno capito come questo processo funziona. La loro analisi appare sulla rivista Nano Letters, in un articolo di studenti laureati Reid Van Lehn, Prabhani Atukorale, Yu-Sang Yang e Randy Carney e professori Alfredo Alexander-Katz, Darrell Irvine e Francesco Stellacci.
Fino ad ora, dice Van Lehn, l’autore principale dello studio, ” il meccanismo era sconosciuto …. In questo lavoro, abbiamo voluto semplificare il processo e comprendere “le forze” che permettono alle nanoparticelle d’oro di penetrare le pareti delle cellule, senza danneggiare in modo permanente le membrane o causarne la rottura. I ricercatori hanno utilizzato per la loro sperimentazione, una combinazione di esperimenti di laboratorio e simulazioni al computer.
Il team ha dimostrato che il primo passo cruciale nel processo, compiuto dalle nanoparticelle rivestite di oro, è quello di fondersi con i lipidi, una categoria di grassi naturali, cere e vitamine – che formano la parete cellulare. Gli scienziati hanno anche sperimentato un limite massimo della dimensione di tali particelle che possono penetrare la parete cellulare – un limite che dipende dalla composizione del rivestimento della particella stessa.
Il rivestimento applicato alle particelle d’oro è costituito da una miscela di componenti idrofobi e idrofili che formano un monostrato sulla superficie della particella.
“Le cellule tendono a fagocitare le cose in superficie”, dice Alexander-Katz, professore associato di scienza dei materiali e ingegneria al MIT, ma è ” insolito” per i materiali, attraversare la membrana all’interno della cellula senza causare gravi danni. Irvine e Stellacci hanno dimostrato nel 2008 che le nanoparticelle d’oro monostrato, potevano attraversare la membrana cellulare, ma da allora sono stati al lavoro per capire meglio come e perché funzionano.
Secondo i ricercatori, il fatto che le nanoparticelle sono completamente rivestite o che sono ricoperte di oro, non ha alcun effetto diretto sulla membrana cellulare, salvo che le nanoparticelle d’oro sono un sistema modello facile da preparare. Tuttavia, vi è qualche evidenza che le particelle di oro hanno proprietà terapeutiche, che potrebbero essere un vantaggio collaterale.
Le particelle d’oro sono anche molto brave a catturare i raggi X – quindi, se possono essere strutturate per penetrare le cellule del cancro per poi essere riscaldate da un fascio di raggi X, potrebbero distruggere quelle cellule dall’interno. In questo processo, l’utilizzo dell’ oro è molto importante”, spiega Irvine, professore di scienza dei materiali e ingegneria e bio-ingegneria e membro dell’Istituto Koch for Integrative Cancer Research.
Significativamente, il meccanismo che permette alle nanoparticelle di passare attraverso la membrana sembra anche sigillare l’apertura, appena la particella ha attraversato la membrana cellulare. ” Le nanoparticelle di oro, una volta attraversata la membrana cellulare, non permettono a nessuna molecole di fuoriuscire dopo il loro ingresso all’interno della cellula”, spiega Van Lehn.
Il laboratorio del Il Prof. Irvine è interessato a sfruttare questo meccanismo cellulare penetrante, come un modo per fornire farmaci all’interno della cellula, legando i farmaci al materiale di rivestimento superficiale delle nanoparticelle. Un passo importante per rendere utile questo processo, è trovare il modo per consentire al rivestimento delle nanoparticelle di essere selettivo rispetto alle cellule su cui deve agire. “I rivestimenti possono essere mirati ad un particolare tipo di cellula che è il bersaglio di un farmaco e questo potrebbe essere un vantaggio significativo”.
Un’altra potenziale applicazione di questo lavoro potrebbe essere il collegamento o l’inserimento di molecole di biosensori su o in alcune cellule, spiega Van Lehn. In questo modo, gli scienziati potrebbero rilevare o monitorare marcatori biochimici specifici, quali le proteine che indicano l’inizio o declino di una malattia o di un processo metabolico.