(Caffeina-immagine Credit Public Domain).
La malattia di Alzheimer (AD) è il tipo più comune di demenza, rappresentando il 50-70% dei casi di demenza neurodegenerativa. L’AD porta a una progressiva perdita di memoria e capacità cognitive.
Si ritiene, soprattutto tenendo conto delle opzioni terapeutiche molto limitate, che gli interventi dietetici o i nutraceutici possano essere promettenti nella profilassi e nel trattamento del deterioramento cognitivo dell’invecchiamento, inclusa l’AD. Gli effetti dei componenti dietetici sono generalmente valutati sulla base di questionari dietetici e i risultati di questi studi, così come i risultati delle loro meta-analisi, spesso non sono conclusivi. Il numero di studi randomizzati controllati riguardanti sostanze fitochimiche è basso. D’altra parte, numerosi studi sperimentali hanno indicato che i fitochimici sono potenzialmente utili nella profilassi dell’AD, inclusi flavonoidi, acidi fenolici, carotenoidi, curcumina, resveratrolo e alcuni alcaloidi. Tra questi fitochimici, gli effetti della caffeina sembrano essere i più approfonditi e meglio documentati.
La caffeina è un alcaloide purinico, comunemente consumato su base giornaliera. La caffeina è probabilmente la sostanza psicoattiva / psicostimolante più comunemente usata. Si trova in chicchi di caffè, noci di cola acuminata, foglie di tè e yerba mate così come nei semi di guaranà e fave di cacao.
La principale fonte alimentare è il caffè, il tè e l’erba mate. E’ presente anche nelle bevande analcoliche (tipo cola) e nelle bevande energetiche, utilizzate principalmente dai soggetti più giovani. L’assunzione media varia da paese a paese, tuttavia è rimasta stabile negli adulti negli ultimi 10-15 anni. Secondo le raccomandazioni dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), l’assunzione giornaliera di caffeina fino a 400 mg è considerata sicura per gli adulti sani.
Numerose attività di promozione della salute sono attribuite al caffè e alla caffeina. Una recente revisione generale di meta-analisi ha indicato, tra l’altro, il ruolo benefico del caffè nella riduzione del rischio di diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari, alcuni tipi di cancro e morbo di Parkinson.
I risultati di studi epidemiologici e sperimentali suggeriscono anche un possibile effetto benefico della caffeina nella prevenzione dell’Alzheimer.
In questo studio i ricercatori si soffermano sui risultati degli studi sperimentali sulla caffeina, effettuati al fine di valutarne le potenzialità nella profilassi e nel trattamento dell’AD.
Caffeina: principali meccanismi d’azione
Il meccanismo d’azione della caffeina è complesso. E’ un antagonista non selettivo dei recettori adenosinici (principalmente A 1 e A 2A ), dimostrando una somiglianza strutturale adenosina. Il blocco di questi recettori modula la neurotrasmissione glutamatergica, colinergica, dopaminergica, serotoninergica e noradrenergica. Il blocco dei recettori dell’adenosina è stato osservato in concentrazioni inferiori di caffeina (<250 µM). Inoltre, la caffeina è un agonista dei recettori della rianodina (RyR), la cui stimolazione aumenta il rilascio di Ca 2+ dal reticolo endoplasmatico. La caffeina è anche un inibitore competitivo non selettivo delle fosfodiesterasi (PDE), gli enzimi che degradano l’adenosina monofosfato ciclico (cAMP), che porta ad aumenti della concentrazione di cAMP cellulare. Tuttavia, l’effetto attraverso le vie di segnalazione associate alla stimolazione dei RyR e al blocco delle PDE è possibile solo a dosi più elevate (concentrazione plasmatica> 250 µM). La caffeina interferisce anche con i recettori dell’acido γ-aminobutirrico di tipo A (GABA A ). Protegge dai danni cellulari, esercita effetti antiossidanti, riducendo i marker di stress ossidativo. La caffeina può esercitare anche attività antinfiammatoria, diminuendo la proinfiammatoria (proteina C-reattiva, interleuchina (IL) -1β, IL-6, IL-18, fattore di necrosi tumorale α — TNF-α) e aumentando l’azione antinfiammatoria (IL-10 , adiponectina).
In generale, studi sperimentali sugli effetti della caffeina nell’AD hanno dimostrato una certa influenza benefica sulla cognizione. Le sue attività neuroprotettive, antiossidanti, antinfiammatorie e antiapoptotiche nei tessuti neuronali, hanno portato ad alleviare il deterioramento cognitivo. Molti studi hanno evidenziato gli effetti favorevoli sui segni distintivi della malattia: proteina tau Aβ o iperfosforilata.
In conclusione, gli studi condotti su modelli sperimentali supportano generalmente l’idea che il consumo di caffeina alimentare possa esercitare alcuni effetti benefici nell’AD.
Fonte: Nutrients