L’Alzheimer è la forma di demenza più diffusa, circa 26 milioni di persone nel mondo ne sono affette. Colpisce 1 donna su 5 e 1 uomo su 10, entro gli 85 anni. Predilige le persone anziane e in maniera subdola e silente, ruba la memoria di chi ne è affetto. Si comincia a non ricordare, perdere oggetti, ripetere continuamente le stesse cose. Soltanto negli ultimi anni , sono stati compresi i meccanismi fisiopatologici che ne sono alla base. La componente genetica è presente nel 5% dei casi mentre un fattore di rischio potrebbe essere il trauma cranico. All’inizio il malato presenterà un lieve deficit nell’apprendimento, in seguito, quando le lesioni si diffondono in diverse zone cerebrali , il degrado mentale diventa evidente.La malattia inizia nella giunzione fra una parte del la corteccia cerebrale detta entorinale e l’ippocampo. I meccanismi alla base della malattia, sono due: nel primo, una proteina beta-amiloide, si deposita negli spazi intercellulari, dando origine alle placche senili e danneggiando i neuroni; nel secondo la proteina Tau , una specie di colla che unisce i tabuli di collegamento tra i neuroni, si lega ad una quantità eccessiva di fosforo, perde la capacità adesiva ed i tabuli si disgregano. Dal punto di vista diagnostico sarebbe utile sviluppare delle tecniche di imaging che permettono di evidenziare le placche, quando sono ancora piccole e poche. Dal punto di vista terapeutico, sarebbe auspicabile trovare il modo di rallentare o bloccarne la formazione. Due nuove ricerche svelano che potrebbero essere delle varianti genetiche a sviluppare la malattia. I geni ABCA7, EPHA1, CDZAP e CD33, sarebbero determinanti nell’insorgere della malattia. Le ricerche, condotte all”Università di Bologna dal Dott.Federico Licastro, è stata comparata, con un’altra ricerca condotta in 40 Università degli Stati Uniti. Entrambi gli studi hanno con fermato l’influenza di questi geni , nell’insorgere della malattia. Inoltre, i ricercatori dell’Istituto Farmacologico Mario Neri, hanno evidenziato il ruolo chiave dell’enzima JNK, dimostrando il suo coinvolgimento nella generazione e nella progressione dell’Alzhaimer. L’enzima agisce su due proteine alla base della neurodegenerazione cellulare:la proteina amiloide , responsabile delle specie neurotossiche e dei frammenti di beta amiloide, e la proteina Tau ,responsabile dei grovigli neurofibrillari. I ricercatori hanno messo a punto un inibitore di JNK in grado di annullare i deficit cognitivi e le alterazioni elettrofisiologiche, caratteristiche della malattia. Il trattamento, effettuato ad oggi sui topi,apre nuove speranze per lo sviluppo di farmaci in grado di contrastare l’Alzhaimer. Infine, la Società Italiana di Neuropsico Farmacologia e la Società di Scienze farmacologiche, hanno organizzato un Seminario, per fare il punto delle conoscenze relative all’eziopatogenesi dell ‘Alzhaimer e delle cure sperimentali,che si svolgerà entro il mese di febbraio a Milano.