(Alzheimer-Immagine Credit Public Domain).
Un farmaco comunemente usato per curare il cancro può ripristinare la memoria e la funzione cognitiva nei topi che mostrano i sintomi del morbo di Alzheimer, secondo una nuova ricerca della University of British Columbia.
Il farmaco chemioterapico Axitinib, inibisce la crescita di nuovi vasi sanguigni nel cervello, una caratteristica condivisa sia dal cancro che dall’Alzheimer, un segno distintivo che rappresenta un nuovo obiettivo per le terapie dell’Alzheimer. I topi con malattia di Alzheimer sottoposti alla terapia non solo hanno mostrato una riduzione dei vasi sanguigni e di altri marcatori di Alzheimer nel cervello, ma hanno anche ottenuto ottimi risultati nei test progettati per misurare l’apprendimento e la memoria.
Spiegano gli autori:
“L’accumulo di beta-amiloide (Aβ) nelle placche neuritiche insieme alla comparsa di grovigli neurofibrillari (NFT) composti da proteina tau iperfosforilata (tau), sono già note caratteristiche della malattia di Alzheimer (AD). Abbiamo precedentemente scoperto l’ipervascolarizzazione in campioni di cervello di pazienti con AD e coerentemente con questa osservazione, abbiamo dimostrato che la sovraespressione di Aβ guida la neoangiogenesi cerebrovascolare che porta a ipervascolarizzazione e interruzione coincidente della giunzione stretta e perdita della barriera emato-encefalica (BBB) in modelli animali di AD. Successivamente abbiamo dimostrato che il carico di placca amiloide e la patogenesi cerebrovascolare diminuiscono quando i livelli di Aβ pro-angiogenici sono ridotti. Sulla base di questi dati, proponiamo un paradigma dell’eziologia dell’AD in cui, come risposta compensatoria al flusso sanguigno cerebrale alterato (CBF), l’Aβ innesca la neoangiogenesi cerebrovascolare patogena che è alla base delle caratteristiche convenzionali dell’AD. Di conseguenza, presentiamo prove che riproporre farmaci antitumorali per modulare la neoangiogenesi cerebrovascolare, piuttosto che mirare direttamente alla cascata amiloide, può fornire un trattamento efficace per l’AD e le relative malattie vascolari del cervello”.
“Siamo davvero molto entusiasti, perché questi risultati suggeriscono che possiamo riutilizzare i farmaci antitumorali approvati, per l’uso come trattamenti per l’Alzheimer”, ha affermato il Professor Wilf Jefferies, autore senior dello studio e ricercatore principale presso il Center for Blood Research, Vancouver Prostate Center e Laboratori Michael Smith. “Questo farmaco potrebbe accorciare lo sviluppo clinico dell’Alzheimer di anni”.
Si stima che la malattia di Alzheimer colpisca 50 milioni di persone in tutto il mondo. La condizione è caratterizzata da declino cognitivo, perdita di memoria e cambiamenti disfunzionali nel cervello.
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I potenziali trattamenti per l’Alzheimer hanno mostrato risultati promettenti in modelli animali prima, ma hanno fallito negli studi clinici. In genere, queste strategie prendono di mira una proteina chiamata tau o un frammento proteico noto come beta-amiloide, ma i ricercatori dell’UBC hanno scelto un approccio diverso. Hanno lasciato gli obiettivi tradizionali e si sono invece concentrati sul contenimento dell’angiogenesi, la crescita di nuovi vasi sanguigni. “La stragrande maggioranza degli studi clinici ha preso di mira direttamente o indirettamente l’amiloide-beta o la tau”, ha affermato il Prof. Jefferies. “A parte alcuni risultati recenti controversi, c’è stata una scarsità di successo in questi studi clinici. Quindi, sembra che un grande sforzo sia stato diretto verso obiettivi sbagliati per invertire l’Alzheimer“.
Preparando il terreno per il presente studio, il precedente lavoro pionieristico del Prof. Jefferies aveva dimostrato che la proliferazione dei vasi sanguigni compromette la barriera emato-encefalica nei pazienti con malattia di Alzheimer. Si ritiene che questa barriera, costituita in gran parte da vasi sanguigni, protegga il cervello dalle infezioni perché le molecole estranee non possono attraversarla facilmente. Poiché i tumori cancerosi si basano anche sulla crescita di nuovi vasi sanguigni per sopravvivere e prosperare, i ricercatori hanno ragionato sul fatto che un farmaco antitumorale comprovato potrebbe arrestare il processo nell’Alzheimer.
“Axitinib, il farmaco antitumorale che abbiamo usato, blocca un recettore nel cervello chiamato recettore della tirosina chinasi, che è in parte responsabile della stimolazione della formazione dei vasi sanguigni“, ha spiegato il Dott. Chaahat Singh, primo autore dell’articolo e borsista post-dottorato che lavora con Prof. Jefferies. “Impedisce la crescita di vasi sanguigni anomali, prevenendo molti effetti a valle“.
Utilizzando Axitinib per un solo mese, i ricercatori hanno drasticamente ridotto la crescita dei vasi sanguigni, ripristinato la barriera enaìmato-encefalica, e più significativamente, migliorato le prestazioni dei topi nei test cognitivi. In un test tipico, un topo viene addestrato a ottenere una ricompensa attraverso un labirinto. Un topo sano può tornare al labirinto per la ricompensa, mentre un animale con i sintomi del morbo di Alzheimer non può. Finora il trattamento è stato applicato solo ai topi. Saranno necessari studi clinici per valutare l’efficacia di questo trattamento nei pazienti con malattia di Alzheimer, oltre a prendere in considerazione l’uso a lungo termine di farmaci antitumorali nelle persone che vivono con l’Alzheimer, che sono per lo più anziani. Mirare alla via pro-angiogenica nell’AD utilizzando il farmaco antitumorale Axitinib, ha ridotto drasticamente la neoangiogenesi cerebrovascolare, ripristinato l’integrità della BBB, risolto la patogenesi della giunzione stretta, ridotto le deposizioni di Aβ nelle placche e ripristintoa efficacemente la memoria e le prestazioni cognitive in un modello murino preclinico di AD.
I ricercatori sono ottimisti. Se Axitinib funziona bene negli esseri umani, riproporre un farmaco già approvato potrebbe far avanzare più rapidamente il suo utilizzo per l’Alzheimer.
“I ricercatori tra cui il sottoscritto, sono stati delusi nell’osservare che numerosi studi clinici per il morbo di Alzheimer non riescono a raggiungere i loro endpoint clinici”, ha detto il Prof. Jefferies. “L’approccio terapeutico che abbiamo scoperto ha l’opportunità di rivedere il trattamento clinico dei malati di Alzheimer, che penso sia assolutamente necessario a questo punto per far avanzare il campo”.
Il Prof. Jefferies e i suoi collaboratori hanno condiviso le loro scoperte in EBioMedicine pubblicato da The Lancet.
Fonte:EBioMedicine