(Alzheimer-Immagine Credit Public Domain).
Gli esperti stimano che più di 6 milioni di americani convivano con la demenza di Alzheimer. Ma un recente studio, condotto dall’Università di Cincinnati, getta nuova luce sulla malattia e su una nuova terapia farmacologica molto dibattuta.
Lo studio guidato dalla UC e condotto in collaborazione con il Karolinska Institute in Svezia, afferma che il trattamento del morbo di Alzheimer potrebbe richiedere di normalizzare i livelli di una particolare proteina chiamata amiloide -beta nel cervello. Questa proteina è necessaria nella sua forma originale solubile per mantenere il cervello sano, ma a volte si indurisce in “calcoli cerebrali” o grumi, chiamati placche amiloidi.
Lo studio, apparso sulla rivista EClinicalMedicine (pubblicata da The Lancet), arriva sulla scia dell’approvazione condizionale da parte della FDA di un nuovo farmaco, l’Aducanumab che cura le placche amiloidi.
“Non sono le placche che causano disturbi cognitivi”, afferma Alberto Espay, autore senior del nuovo studio e Professore di neurologia alla UC. “Le placche amiloidi sono una conseguenza, non una causa dell’Alzheimer”, dice Espay che è anche membro dell’UC Gardner Neuroscience Institute.
La malattia di Alzheimer è diventata ampiamente nota come “il lungo addio” alla fine del XX secolo a causa del lento deterioramento della funzione cerebrale e della memoria. Tuttavia, più di 100 anni fa, lo scienziato Alois Alzheimer ha identificato per la prima volta le placche nel cervello dei pazienti affetti dalla malattia.
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“Da allora”, afferma Espay, “gli scienziati si sono concentrati sui trattamenti per eliminare le placche. Ma il team della UC la vede diversamente: il deterioramento cognitivo potrebbe essere dovuto a un calo del peptide beta-amiloide solubile invece del corrispondente accumulo di placche amiloidi”. Per testare la loro ipotesi, i ricercatori hanno analizzato le scansioni cerebrali e il fluido spinale di 600 individui arruolati all’iniziativa di neuroimaging della malattia di Alzheimer, che avevano tutti placche amiloidi. Hanno confrontato la quantità di placche e i livelli del peptide negli individui con cognizione normale con quelli con decadimento cognitivo. Hanno scoperto che, indipendentemente dalla quantità di placche nel cervello, gli individui con alti livelli del peptide erano cognitivamente normali. Hanno anche scoperto che livelli più elevati di peptide beta-amiloide solubile erano associati a un ippocampo più grande, l’area del cervello più importante per la memoria. Secondo gli autori, con l’avanzare dell’età la maggior parte delle persone sviluppa le placche amiloidi, ma poche persone sviluppano la demenza. “Infatti, all’età di 85 anni, il 60% delle persone avrà queste placche, ma solo il 10% svilupperà la demenza”, dicono gli autori.
“La scoperta chiave della nostra analisi è che i sintomi della malattia di Alzheimer sembrano dipendere dall’esaurimento della proteina normale che è in uno stato solubile”, afferma il coautore Kariem Ezzat del Karolinska Institute. “L’approccio terapeutico futuro più rilevante per l’Alzheimer sarà il reintegro di queste proteine solubili nel cervello ai loro livelli normali“, afferma Espay.
Il team di ricerca sta ora lavorando per testare i risultati su modelli animali. In caso di successo, i trattamenti futuri potrebbero essere molto diversi da quelli provati negli ultimi due decenni. “Il trattamento”, dice Epay, “può consistere nell’aumentare la versione solubile della proteina in modo da mantenere il cervello sano, evitando che la proteina si indurisca in placche”.
Fonte:EClinicalMedicine