(Vaccini-Immagine Credit Università della California).
Il futuro dei vaccini potrebbe assomigliare più a mangiare un’insalata che a farsi un’iniezione al braccio. Gli scienziati della UC Riverside stanno studiando la possibilità di trasformare piante commestibili come la lattuga in fabbriche di vaccini mRNA.
La tecnologia Messenger RNA o mRNA, utilizzata nei vaccini COVID-19, funziona insegnando alle nostre cellule a riconoscerci e proteggerci dalle malattie infettive.
Una delle sfide con questa nuova tecnologia è che deve essere mantenuta fredda per mantenere la stabilità durante il trasporto e lo stoccaggio. Se questo nuovo progetto avrà successo, vaccini mRNA a base vegetale – che possono essere “mangiati” – potrebbe superare questa sfida con la possibilità di creare vaccini che possono essere conservati a temperatura ambiente.
Immagine: i virus delle piante forniscono nanoparticelle naturali che vengono riutilizzate per la consegna genica nelle cellule vegetali. (Nicole Steinmetz/UCSD).
Gli obiettivi del progetto, resi possibili da una sovvenzione di $ 500.000 dalla National Science Foundation, sono tre: dimostrare che il DNA contenente i vaccini mRNA può essere consegnato con successo nella parte delle cellule vegetali dove si replicherà, dimostrare che le piante possono produrre abbastanza mRNA per competere con un vacino tradizionale e, infine, determinare il giusto dosaggio.
Immagine: cloroplasti (colore magenta) nelle foglie che esprimono una proteina fluorescente verde. Il DNA che codifica per la proteina è stato fornito da nanomateriali mirati senza aiuti meccanici applicando una gocciolina della nanoformulazione sulla superficie della foglia. (Israele Santana/UCR).
“Idealmente, una singola pianta produrrebbe abbastanza mRNA per vaccinare una singola persona”, ha affermato Juan Pablo Giraldo, Professore associato presso il Dipartimento di botanica e scienze delle piante dell’UCR, che sta conducendo la ricerca in collaborazione con scienziati dell’UC San Diego e Carnegie. Mellon University. “Stiamo testando questo approccio con spinaci e lattuga e abbiamo obiettivi a lungo termine per le persone che le coltivano nei propri orti. Gli agricoltori potrebbero anche coltivarne interi campi”, dice Juan Pablo Giraldo, Professore Associato, Dipartimento di Scienze Botaniche e Vegetali, Università della California – Riverside.
La chiave per fare questo lavoro sono i cloroplasti, piccoli organi nelle cellule vegetali che convertono la luce solare in energia che la pianta può utilizzare. “Sono piccole fabbriche a energia solare che producono zucchero e altre molecole che consentono alla pianta di crescere”, ha detto Giraldo. “Sono anche una fonte non sfruttata per creare molecole desiderabili”.
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In passato, Giraldo ha dimostrato che è possibile che i cloroplasti esprimano geni che non fanno naturalmente parte della pianta. Lui e i suoi colleghi hano invianto materiale genetico estraneo nelle cellule vegetali all’interno di un involucro protettivo. Determinare le proprietà ottimali di questi involucri per la consegna nelle cellule vegetali è una specialità del laboratorio di Giraldo. Per questo progetto Giraldo ha collaborato con Nicole Steinmetz, una Prof.ssa di nanoingegneria della UC San Diego, per utilizzare le nanotecnologie progettate dal suo team che forniranno materiale genetico ai cloroplasti.
“La nostra idea è di riutilizzare le nanoparticelle naturali, vale a dire i virus delle piante, per la consegna dei geni alle piante”, ha detto Steinmetz. “Un po’ di ingegneria entra in questo progetto per far sì che le nanoparticelle vadano dai cloroplasti e anche per renderle non infettive verso le piante”. Per Giraldo, la possibilità di sviluppare questa idea con l’mRNA è il culmine di un sogno. “Uno dei motivi per cui ho iniziato a lavorare nella nanotecnologia è stato di poterla applicare alle piante e creare nuove soluzioni tecnologiche. Non solo per il cibo, ma anche per prodotti di alto valore, come i prodotti farmaceutici”, ha affermato Giraldo che è anche co-Direttore di un progetto correlato che utilizza nanomateriali per fornire azoto, un fertilizzante, direttamente ai cloroplasti, dove le piante ne hanno più bisogno.
L’azoto è limitato nell’ambiente, ma le piante ne hanno bisogno per crescere. La maggior parte degli agricoltori applica azoto al suolo. Di conseguenza, circa la metà finisce nelle acque sotterranee, contaminando i corsi d’acqua, causando la fioritura di alghe e interagendo con altri organismi e producendo anche protossido di azoto, un altro inquinante Questo approccio alternativo permetterebbe di immettere azoto nei cloroplasti attraverso le foglie e di controllarne il rilascio, una modalità di applicazione molto più efficiente che potrebbe aiutare gli agricoltori e migliorare l’ambiente.
La National Science Foundation ha concesso a Giraldo e ai suoi colleghi 1,6 milioni di dollari per sviluppare questa tecnologia mirata di somministrazione di azoto.
“Sono molto entusiasta di tutta questa ricerca”, ha detto Giraldo. “Penso che potrebbe avere un enorme impatto sulla vita delle persone”.