Sulla base delle attuali conoscenze è evidente che il trapianto di cellule staminali non rappresenta una pratica terapeutica utilizzabile in tempi prevedibili nelle persone affette da malattia di Parkinson. Al momento rimane una problematica confinata soltanto ad aspetti di
ricerca scientifica.
Le cellule staminali si caratterizzano per tre peculiarità: non sono differenziate, possono dividersi senza limite e ciascuna cellula figlia può diventare anche essa cellula staminale o imboccare la via del differenziamento terminale. L’utilizzo delle cellule staminali embrionali sarebbe teoricamente la scelta ideale, data la loro completa totipotenza, per la cura di malattie neurologiche come la Malattia di Parkinson. Ciò perché a tutt’oggi per molte di queste patologie la terapia è ancora solo sintomatica e non del tutto soddisfacente. L’utilizzo delle cellule staminali potrebbe prevedere il rimpiazzo delle cellule nervose perse (nel caso della Malattia di Parkinson si ha una degenerazione dei neuroni della via dopaminergica nigrostriatale).
Varie sono le possibili fonti di cellule staminali utilizzabili nella malattia di Parkinson: cellule staminali embrionali, cellule staminali neurali adulte o fetali, cellule staminali autologhe (derivanti dal midollo osseo o da altri tessuti dei pazienti stessi), cellule staminali derivanti dal
cordone ombelicale. Indipendentemente dalla fonte di cellule staminali vi sono alcuni problemi da affrontare, che limitano ancora largamente il possibile utilizzo della terapia ‘cellulare’ nel Parkinson. In primo luogo vi è la questione dell’attecchimento delle cellule staminali: il numero di cellule che sopravvive al trapianto e si differenzia in neuroni dopaminergici è ancora molto limitato negli studi animali, nonostante l’utilizzo di volta in volta di antiossidanti, fattori trofici ed antiapoptotici.
Un altro limite sono gli effetti collaterali. Tra questi vanno annoverati la oncogenesi, finora confermata per le cellule embrionali e gli effetti della terapia immunosoppressiva in caso di trapianto con cellule eterologhe. Tra l’altro dovrebbe essere scongiurata l’insorgenza di complicanze motorie (discinesie di fase off), associate all’utilizzo delle cellule nigrostriatali fetali.
Se quanto finora esposto rappresenta oggi lo “stato dell’arte“, con una quota di incertezze superiore alle certezze, risulta assolutamente non–etico, in quanto non suffragato da adeguate evidenze, promuovere nella pratica clinica l’impiego delle cellule staminali per la
malattia di Parkinson. Le procedure sperimentali peraltro nel nostro Paese sono sottoposte a trasparenti meccanismi di controllo e puntuali verifiche di efficacia, a tutela del paziente e dello sperimentatore e sono regolate da precise norme di legge che vanno conosciute e rispettate.
Comitato scientifico: Giovanni Abbruzzese, Alberto Albanese, Giuseppe Meco,
Stefano Ruggieri, Mario Zappia