Immagine, Dr. Olujimi Ajijola. Credit: Dean Ishida/UCLA
Uno studio condotto dalla UCLA ha rivelato un nuovo modo di prevedere quali pazienti con insufficienza cardiaca “stabile” – quelli che hanno lesioni cardiache, ma non necessitano di ricovero in Ospedale – hanno un rischio maggiore di morire entro uno o tre anni. Sebbene le persone con insufficienza cardiaca stabile abbiano caratteristiche simili, alcune hanno una rapida progressione della malattia, mentre altre rimangono stabili. La ricerca mostra che i pazienti con livelli più alti di neuropeptide Y, una molecola rilasciata dal sistema nervoso, hanno una probabilità 10 volte maggiore di morire entro uno o tre anni rispetto a quelli con livelli più bassi di neuropeptidi.
Circa la metà delle persone che sviluppano insufficienza cardiaca muoiono entro cinque anni dalla diagnosi, secondo un rapporto dell’American Heart Association, ma non è stato compreso il motivo per cui alcune persone vivono più a lungo di altre nonostante ricevano gli stessi farmaci e la stessa terapia con dispositivi medici. I ricercatori hanno deciso di determinare se un biomarker del sistema nervoso potrebbe aiutare a spiegare questa differenza. Ad oggi, nessun altro biomarcatore in grado di prevedere in modo specifico il rischio di morte per le persone con insufficienza cardiaca stabile, è stato identificato.
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I ricercatori hanno analizzato il sangue di 105 pazienti con insufficienza cardiaca stabile, alla ricerca di un distinto biomarcatore nel sangue che potesse prevedere il rischio di morte entro pochi anni. Hanno scoperto che i livelli del neuropeptide Y erano il predittore più chiaro e significativo.
Gli scienziati hanno anche confrontato campioni di tessuto nervoso di pazienti con campioni di donatori sani e hanno stabilito che i neuroni nelle persone che erano maggiormente a rischio di morte per insufficienza cardiaca stavano probabilmente rilasciando livelli più alti di neuropeptidi.
I risultati di questo studio potrebbero fornire agli scienziati un modo per distinguere i pazienti ad alto rischio con insufficienza cardiaca stabile dagli altri con le stesse condizioni e potrebbero aiutare ad individuare i pazienti che necessitano di terapie più aggressive e mirate. Lo studio evidenzia anche la necessità di terapie per l’insufficienza cardiaca mirate al sistema nervoso.
Ulteriori studi potrebbero aiutare a determinare se il rischio di morte di un paziente può essere accertato attraverso misure meno invasive come un semplice prelievo di sangue e se un intervento aggressivo precoce in queste persone può ridurre il rischio di morte.
Lo studio è stato pubblicato su JAMA Cardiology.
Fonte, JAMA Cardiology