Immagine: Dr.ssa Penny Hallett. Credit: MClean Hospital
Un team di ricercatori del McLean Hospital, una filiale della Harvard Medical School e Oxford University, ha scoperto che livelli elevati di alcuni tipi di lipidi (molecole di grasso) nel cervello possono essere un sintomo precoce della malattia di Parkinson (PD). Questa scoperta potrebbe avere implicazioni significative per identificare i pazienti che potrebbero essere a rischio di sviluppare il Parkinson e per il trattamento precoce della malattia.
I risultati dettagliati dello studio sono disponibili nell’edizione online del 29 aprile di Neurobiology of Aging.
La malattia di Parkinson è una malattia progressiva degenerativa caratterizzata dalla drastica riduzione delle cellule nervose, in particolare i neuroni della dopamina coinvolti nell’innesto del movimento, in un’area del cervello chiamata substantia nigra. Per molti anni la perdita di queste cellule nervose è stata attribuita all’accumulo tossico della proteina alfa-sinucleina. Negli ultimi 15 anni, tuttavia, i ricercatori hanno studiato una relazione interessante tra il rischio di sviluppare il Parkinson e un gruppo di disturbi chiamati malattie da accumulo lisosomiale – in particolare la malattia di Gaucher, causata da mutazioni e polimorfismi del gene GBA, coinvolto nella produzione dell’enzima glucocerebrosidasi, contenuto nei lisosomi dei macrofagi, cellule presenti in gran parte dell’organismo.
Il gene GBA produce normalmente un enzima che scompone i lipidi, ma nel disturbo infantile della malattia di Gaucher, una mancanza quasi totale di questa attività enzimatica porta ad aumenti massivi e solitamente fatali di lipidi all’interno delle cellule. In particolare, le persone che non sviluppano la malattia di Gaucher, ma sono portatrici di una copia genica difettosa, hanno un rischio 7-10 volte maggiore di sviluppare il Parkinson con l’età.
“Ciò significa che l’accumulo di lipidi può anche essere importante nel Parkinson e gli scienziati del Neuroregeneration Research Institute dell’ospedale McLean hanno precedentemente dimostrato che c’è un aumento di una classe di lipidi, chiamati glicosfingolipidi, nella substantia nigra dei pazienti con Parkinson”, ha detto Ole Isacson, Professore di Neurologia e Neuroscienze presso la Harvard Medical School, co-Direttore del Neuroregeneration Research Institute al McLean Hospital e co-autore senior dello studio.
Poiché l’invecchiamento è il fattore di rischio più significativo per lo sviluppo del Parkinson, i team del McLean Hospital e del laboratorio dell’Università di Oxford del Professor Frances M. Platt, FMedSci, hanno collaborato per misurare i livelli di glicosfingolipidi nel cervello che invecchia, usando topi giovani e vecchi. Hanno scoperto che gli stessi glicosfingolipidi che sono aumentati nel cervello dei pazienti con malattia di Parkinson sono anche elevati nel cervello dei topi anziani. Questi risultati mostrano che sia la genetica (mutazione del gene GBA) che l’invecchiamento, possono causare gli stessi aumenti lipidici nel cervello che sono dimostrati nella patologia della malattia di Parkinson.
“Questi risultati portano a una nuova ipotesi che le alterazioni lipidiche possono creare una serie di problemi all’interno delle cellule nervose nell’invecchiamento degenerativo e nella malattia di Parkinson e che questi cambiamenti possono precedere alcuni dei tratti più evidenti del morbo di Parkinson, come gli aggregati proteici“, dice Penny Hallett, autore principale dello studio e co-Direttore del Neuroregeneration Research Institute di McLean. “Questo studio potenzialmente fornisce un’opportunità per trattare i cambiamenti dei lipidi nella fase iniziale della malattia di Parkinson e proteggere le cellule nervose dalla morte, così come la possibilità di utilizzare i livelli lipidici come biomarcatori per i pazienti a rischio”.
Fonte: EurekAlert