Un team di ricercatori guidati dall’Università del Michigan, dal Baylor College of Medicine e dal National Center for Advancing Translational Sciences, ha identificato un nuovo target farmacologico per il trattamento della malattia di Huntington, un disturbo neurologico fatale per il quale attualmente non esiste una cura o terapia preventiva.
L’Huntington è una malattia ereditaria causata da un difetto in un singolo gene, che causa l’aggregazione di proteine mutanti nelle cellule. La malattia innesca il progressivo esaurimento delle cellule nervose nel cervello, producendo gravi danni fisici e neurologici che continuano a peggiorare nel tempo.
La ricerca, pubblicata il 19 dicembre sulla rivista eLife, ha identificato un enzima che quando viene inibito, sembra contribuire a eliminare le proteine problematiche dalle cellule, migliorando gli effetti della malattia. Lo studio, che includeva un modello di moscerino della frutta della malattia di Huntington, apre la strada a studi sui mammiferi ed è precursore dello sviluppo e test di un farmaco negli esseri umani.
I ricercatori del Centro nazionale hanno testato individualmente migliaia di piccole molecole, applicandole a cellule che esprimevano la parte tossica della proteina mutante, per verificare se qualche molecola poteva migliorare la sopravvivenza cellulare.
E’ stata individuata una piccola molecola chiamata NCT-504 che sembrava avere l’effetto desiderato inibendo un enzima specifico nelle cellule: una chinasi lipidica chiamata PIP4Kgamma (che sta per fosfatidilinositolo-5-fosfato 4-chinasi, tipo II gamma) .
Per capire esattamente gli effetti della inibizione di questa chinasi lipidica, i ricercatori si sono rivolti al laboratorio di Lois Weisman presso l’UM Life Sciences Institute, uno dei pochi laboratori al mondo che misurano i tipi di lipidi che si prevede siano generati da PIP4Kgamma.
Come inibitore della chinasi lipidica, NCT-504 diminuisce l’effetto dell’enzima PIP4Kgamma nella cellula. Quando l’attività PIP4Kgamma è stata soppressa, i ricercatori del laboratorio di Weisman hanno notato un aumento dei livelli cellulari di tre lipidi coinvolti in un importante processo di pulizia delle proteine danneggiate nelle cellule, chiamato autofagia.
L’aumento di questi tre lipidi può spiegare un aumento osservato dell’attività autofagica che a sua volta potrebbe migliorare la capacità delle cellule di eliminare gli aggregati proteici che causano la malattia di Huntington.
“Abbiamo previsto che l’enzima avrebbe avuto un impatto su uno dei lipidi, ma è emerso che stava anche aumentando altri due lipidi che abbiamo studiato a lungo”, ha detto Weisman, un ricercatore alla LSI e Professore di biologia cellulare e dello sviluppo presso la UM Scuola di Medicina.
“Siamo entusiasti che il cambiamento dei lipidi potrebbe essere ciò che allevia la malattia di Huntington“, ha aggiunto il ricercatore.
ll team ha quindi testato questo modello genetico nei moscerini della frutta per verigficare se l’enzima potesse avere lo stesso effetto su un organismo vivente. Poiché i moscerini della frutta hanno un genoma ben mappato e condividono un numero sorprendente di geni con gli esseri umani, gli scienziati li usano spesso come modello per indagare le malattie umane.
Così, i ricercatori del Baylor College of Medicine hanno ridotto l’attività di PIP4Kgamma nelle mosche della frutta che avevano la mutazione della malattia di Huntington. È importante sottolineare che gli scienziati hanno osservato una riduzione degli effetti della malattia in due modelli di mosca.
( Vedi anche:Identificato possibile biomarker per la malattia di Huntington).
“La cosa più eccitante qui è che gli animali non solo tollerano la mancanza di questo enzima, ma in realtà questa mancanza li rende migliori”, ha aggiunto Weisma che ha sottolineato il ruolo cruciale della identificazione di questo nuovo potenziale bersaglio terapeutico, una scoperta che potrebbe avere effetti preziosi anche oltre la malattia di Huntington.
“Questo tipo di schermo di ricerca molto aperto e di base è stato la chiave per questa scoperta”, ha detto Weisman. “Basandoci sul lieve aumento dell’autofagia che abbiamo osservato nei modelli cellulari, pensiamo che esso potrebbe essere importante anche per altre malattie neurodegenerative, incluso l’Alzheimer”.
“Abbiamo studiato queste chinasi lipidiche per un po’ “, ha aggiunto Sai Srinivas Panapakkam Giridharan, ricercatore nel laboratorio di Weisman e autore dello studio. “Per ora scoprire che esiste un potenziale obiettivo terapeutico per l’Huntington, così come per altri disturbi neurologici, è estremamente eccitante”.
Il prossimo passo dei ricercatori, sarà quello di testare il modello nei mammiferi e determinare se una diminuzione di questo enzima potrà scoraggiare la malattia di Huntington in organismi più complessi.
Fonte: eLife