Per decenni, neuroscienziati e medici hanno cercato di svelare il mistero secolare del disturbo da stress post-traumatico (PTSD) per spiegare il motivo per cui solo alcune persone sperimentano così tanti sintomi e disabilità.
I progressi nel campo delle neuroscienze stanno ridefinendo la malattia psichiatrica come espressione sintomatica delle disfunzioni cellulari / molecolari nei circuiti cerebrali specifici. Il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) è stato un esempio di questo progresso, con una migliore comprensione dei sistemi neurobiologici che sottendono la paura di apprendimento, rilevamento della rilevanza e regolazione delle emozioni, spiega gran parte della sua fenomenologia e neurobiologia.
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Tutti gli esperti concordano nel dire che il disturbo da stress post-traumatico ha le sue radici in molto processi fisici all’interno del cervello e non in una sorta di “debolezza” psicologica.
In un articolo pubblicato questa settimana in Neuron, i ricercatori della University of Michigan Medical School, che hanno studiato la condizione da molti punti di vista per molti anni, hanno elaborato una nuova teoria che attinge e integra decenni di ricerche precedenti.
“La linea di fondo”, dicono i ricercatori, “è che le persone con PTSD sembrano soffrire di incapacità di elaborazione di un contesto. Questa capacità è una funzione cerebrale di base che permette alle persone e animali di riconoscere che uno stimolo particolare può richiedere risposte diverse a seconda del contesto in cui si incontra”.
“Un semplice esempio”, scrivono i ricercatori,” è che per le persone affette dalla condizione è difficile distinguere per esmpio, un leone visto allo zoo che non può provocare paura, dallo stesso leone inaspettatamente incontrato nel cortile di casa che sicuramente provoca paura”.
Nelle persone PTSD, uno stimolo associato ad un trauma vissuto in precedenza – come ad esempio un forte rumore o un odore particolare – innesca una risposta di paura, anche quando il contesto è molto sicuro. Ecco perché queste persone reagiscono anche se il rumore è venuto dalla porta d’ingresso che viene sbattuta o l’odore proviene dalla cena accidentalmente bruciata.
L’ elaborazione del contesto coinvolge una regione del cervello chiamata ippocampo e le sue connessioni con altre due regioni chiamate corteccia prefrontale e amigdala. La ricerca ha dimostrato che l’attività in queste aree cerebrali è interrotta nei pazienti PTSD. Il team della UM pensa che questa teoria può unificare un’ ampia evidenza, dimostrando come un’ anomalia di questo circuito può interferire con l’elaborazione del contesto e può spiegare la maggior parte dei sintomi e gran parte della biologia del disturbo da stress post-traumatico.
“Speriamo di mettere ordine a tutte le informazioni che sono state raccolte sul disturbo, da studi su pazienti umani e modelli animali della condizione”, dice Israele Liberzon, Prof. di Psichiatria presso la UM e ricercatore presso il VA Ann Healthcare System Arbor. “Speriamo anche di creare una ipotesi verificabile, cosa che non è così comune nella ricerca sulla salute mentale. Se questa ipotesi si dimostra vera, forse saremo in grado di svelare alcuni dei processi fisiopatologici sottostanti e offrire trattamenti più efficaci per la condizione”.
Per lo studio, Liberzon e il suo collega James Abelson, hanno osservato diversi modelli di sintomi PTSD “Il problema”, dicono, ” è che nessuno di questi modelli spiega sufficientemente i vari sintomi osservati nei pazienti e tutti i complessi cambiamenti neurobiologici osservati in PTSD”.
Il primo modello di paura ingiustificata, è radicato nell’ amigdala, la parte del cervello deputato alla ‘lotta o fuga’ che si concentra sulla risposta alle minacce o ambienti sicuri. Questo modello è emerso dal lavoro sulla paura condizionata.
Il secondo modello di rilevamento esagerato delle minacce, è radicato nelle regioni del cervello che distinguono i segnali provenienti dall’ambiente e determinano se sono “insignificanti”, o bisogna prenderne atto e reagire. Questo modello si concentra sulla vigilanza e risposte sproporzionate alle minacce percepite.
Il terzo modello, che coinvolge la funzione esecutiva e la regolazione delle emozioni, è radicato principalmente nella corteccia prefrontale – il centro del cervello che controlle le emozioni.
La cosa più importante, dice Liberzon, è che “il contesto non è solo informazione sull’ambiente circostante, è tirare fuori l’emozione corretta e i ricordi nel contesto in cui ci si trova al momento”.
Un deficit nella elaborazione del contesto porterebbe i pazienti PTSD a sentirsi “disancorati” dal mondo che li circonda e non in grado di modellare le loro risposte al contesto stesso poichè i loro cervelli impongono un “contesto interiorizzato” nel quale si è sempre in pericolo.
Questo tipo di deficit, derivante nel cervello da una combinazione di genetica ed esperienze di vita, può creare vulnerabilità al disturbo da stress post-traumatico. Dopo un trauma, si sviluppano sintomi di attenzione esasperata, insonnia, pensieri e sogni e inappropriate esplosioni emotive e fisiche.
Liberzon e Abelson pensano che porre l’attenzione sulla teoria di elaborazione del contesto migliorerà la comprensione del PTSD, anche se tutti i suoi dettagli non sono ancora stati verificati.
Il team di UM / VA sta attualmente reclutando persone con PTSD per studi che coinvolgono l’imaging cerebrale e altri test.
Fonte: Neuron