Un gruppo di ricercatori del Massachusetts General Hospital (MGH) e dell’ Istituto Harvard Stem Cell ha identificato un nuovo approccio promettente per il trattamento della leucemia mieloide acuta (LMA). Nel loro articolo, pubblicato online dalla rivista Cell, i ricercatori identificano una disfunzione fondamentale nello sviluppo delle cellule del sangue che sta alla base della malattia e dimostrano che inibendo l’azione di un enzima specifico, si riduce il numero delle cellule tumorali e la loro capacità di propagare il cancro.
” La leucemia mieloide acuta (LMA) è una malattia che si sviluppa a partire dal midollo osseo (mieloide) e che progredisce velocemente (acuta). Le cellule del sangue sono presenti nel midollo osseo sotto forma di “precursori” e, attraverso un percorso di maturazione, si possono differenziare in globuli bianchi (tra cui i linfociti), globuli rossi o piastrine. Se in questo percorso che li porta a diventare “adulti” i precursori” (tranne quelli dei linfociti) vanno incontro a una trasformazione in senso tumorale, si arriva alla LMA”.
“LMA è una forma devastante di cancro, il tasso di sopravvivenza a cinque anni è solo del 30 per cento ed è peggiore per i pazienti più anziani che hanno un rischio più elevato di sviluppare la malattia”, dice David Scadden, MD, Direttore del MGH centro di Medicina Rigenerativa (MGH-CRM), Co-Direttore dell’ Harvard Stem Cell Institute (HSCI) e autore senior dell ‘articolo.
“Le nuove terapie per la leucemia mieloide acuta sono estremamente limitate. Stiamo ancora usando i protocolli sviluppati nel 1970 e abbiamo un disperato bisogno di trovare nuovi trattamenti”, ha aggiunto il ricercatore.
Nella LMA viene interrotto il normale processo con cui le cellule staminali mieloidi si differenziano in un gruppo specifico di globuli bianchi maturi, portando alla proliferazione di cellule immature e anormali che sopprimono lo sviluppo delle cellule normali del sangue. Una vasta gamma di cambiamenti genetici si verificano nella leucemia mieloide acuta, ma i ricercatori hanno proposto che gli effetti sulla differenziazione dovevano essere incanalati attraverso alcuni eventi molecolari condivisi. Utilizzando un metodo creato dall’autore dello studio David Sykes, MD, PhD, del MGH-CRM e HSCI, il team ha scoperto che un singolo punto disfunzionale nel percorso di differenziazione, comune alla maggior parte delle forme di leucemia mieloide acuta, potrebbe essere un obiettivo di trattamento.
Studi precedenti avevano dimostrato che l’espressione di un fattore di trascrizione chiamato HOXA9 – che deve essere inibito per la normale differenziazione delle cellule mieloidi – in realtà è mantenuto attivo nel 70 per cento dei pazienti con leucemia mieloide acuta. Poiché non erano stati identificati inibitori di HOXA9, i ricercatori hanno perseguito un nuovo approccio per lo screening di potenziali inibitori, scelti non in base alla loro interazione con un particolare bersaglio molecolare, ma in base alla loro capacità di superare il caratteristico blocco di differenziazione delle cellule LMA.
In primo luogo hanno creato un modello di leucemia mieloide acuta inducendo la sovraespressione di HOXA9 nei topi geneticamente ingegnerizzati le cui cellule mieloidi producono un segnale verde quando hanno raggiunto la maturità. Il team ha poi testato oltre 330.000 piccole molecole per individuare quale avrebbe prodotto il segnale verde nelle cellule, indicando che il blocco della differenziazione HOXA9 indotta era stato superato. Solo 12 composti hanno prodotto il risultato desiderato, di cui 11 hanno soppresso un enzima metabolico chiamato DHODH, il cui ruolo nella differenziazione delle cellule mieloidi, non era noto in precedenza. Ulteriori esperimenti hanno dimostrato che l’inibizione di DHODH potrebbe indurre la differenziazione delle cellule mieloidi sia nei topi che nelle cellule LMA umane.
Il team ha poi testato un inibitore DHODH in diversi modelli murini di leucemia mieloide acuta e ha individuato un programma di dosaggio dell’inibitore che ha ridotto i livelli di cellule leucemiche e prolungato la sopravvivenza senza gli effetti collaterali negativi della chemioterapia. Mentre sei settimane di trattamento non hanno impedito l’eventuale ricaduta, il trattamento per un massimo di 10 settimane sembra aver portato a remissione a lungo termine della malattia con una riduzione delle cellule staminali leucemiche che possono portare a una ricaduta. Risultati simili sono stati osservati nei topi in cui erano stati impiantate cellule leucemiche umane.
“Ulteriori indagini sul meccanismo alla base dell’ inibizione di DHODH dovrebbero consentire lo sviluppo di protocolli per le sperimentazioni cliniche umane”, ha detto il Prof. David Scadden.
Scadden sottolinea che la ricerca è frutto di sei anni di lavoro ed è un vero riflesso della natura collaborativa della scienza nella ricerca di terapie clinicamente rilevanti. Scienziati provenienti da MGH, HSCI, Broad Institute, Università del New Mexicoì e Bayer HealthCare hanno preso parte alla ricerca.
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