Un nuovo studio suggerisce che triclosan, un agente antimicrobico e antimicotico presente in molti prodotti di consumo che vanno dai saponi ai giocattoli e persino dentifrici, può rapidamente distruggere le comunità batteriche presenti nell’intestino.
La ricerca è stata pubblicata oggi, in PLoS ONE da scienziati della Oregon State University. Essa si basa su sperimentazioni effettuate sullo zebrafish ( un pesce tropicale ), volte a determinare i possibili impatti biologici sulla salute umana di questo composto antimicrobico.
Il triclosan è stato utilizzato negli ospedali dal 1970 ed ora è uno degli agenti antimicrobici più comuni al mondo che si trova negli shampoo, deodoranti, dentifrici, colluttori, utensili da cucina, taglieri, giocattoli, coperte, calze e sacchetti della spazzatura. Esso continua ad essere utilizzato in campo medico e può essere facilmente assorbito attraverso la pelle. In Italia il suo utilizzo è già limitato ad una concentrazione dello 0,3%.
” C’è stata una forte preoccupazione per l’esposizione agli agenti patogeni microbici che ha portato ad un aumento dell’uso di questi prodotti antimicrobici “, ha dichiarato Thomas Sharpton, un Assistente Professore di microbiologia e statistiche dell’ OSU Colleges of Science and Agricultural Sciences e autore del nuovo studio.
“Tuttavia, c’è ora una crescente consapevolezza dell’importanza dei batteri presenti nel nostro intestino, per la salute umana e l’uso eccessivo di antibiotici che possono portare alla nascita di ‘superbatteri’. Ci sono conseguenze, che stiamo solo ora cominciando a capire, derivate dal costante tentativo di uccidere i batteri presenti nel mondo che ci circonda”, ha aggiunto Thomas Sharpton.
Nel nuovo studio, i ricercatori hanno scoperto che l’esposizione a triclosan ha causato rapidi cambiamenti sia nella diversità che nella composizione del microbioma intestinale, negli animali da laboratorio. Non è chiaro quale sia l’implicazione per gli animali o per la salute umana, ma gli scienziati ritengono che compromettere i batteri del tratto intestinale può contribuire allo sviluppo o all’aggravamento delle malattie.
Alcuni batteri erano più suscettibili dell’effetto di triclosan di altri, come la famiglia delle Enterobacteriaceae e altri erano più resistenti, come il genere Pseudomonas.
“Chiaramente ci possono essere situazioni in cui sono necessari agenti antibatterici”, ha detto Christopher Gaulke, autore principale dello studio e ricercatore di microbiologia postdottorato all’ OSU College of Science.
“Tuttavia, gli scienziati hanno ora dimostrato che i batteri intestinali possono avere impatti metabolici, cardiovascolari, autoimmuni e impatti neurologici e le preoccupazioni circa l’uso eccessivo di questi agenti sono valide. Sono inoltre possibili impatti cumulativi. Abbiamo bisogno di fare molto di più sulla valutazione dei loro effetti, alcuni dei quali potrebbero essere drammatici su una lunga durata”.
Il microbioma intestinale svolge funzioni vitali per la salute umana, previene la colonizzazione da agenti patogeni, stimola lo sviluppo del sistema immunitario e produce micronutrienti necessari all’ ospite. Gli scienziati hanno sottolineato nel loro studio che la disfunzione di questo microbioma è stata associata a malattie umane, tra cui il diabete, le malattie cardiache, l’artrite e la malnutrizione.
Gli esseri umani sono regolarmente esposti ad una vasta gamma di prodotti chimici, metalli, conservanti, microbi e sostanze nutrienti, alcuni dei quali possono essere vantaggiosi, alcuni innocui, altri dannosi.
Triclosan causa una forte una preoccupazione in parte perché è ampiamente usato ed è anche facilmente assorbito attraverso la pelle ed il tratto gastrointestinale ed è rilevabile nelle urine, feci e latte materno. Inoltre è stato associato ad alterazioni del sistema endocrino nei pesci e ratti, può agire come promotore del tumore al fegato e può alterare le risposte infiammatorie.
Questo studio ha mostrato che triclosan è stato rapidamente associato con cambiamenti nella struttura della comunità microbica e può alterare l’abbondanza di specifici taxa.
Hanno partecipato alla ricerca anche gli scienziati dell’OSU Environmental Health Sciences Center and OSU College of Agricultural Sciences.
Fonte: OSU news