Le cellule immunitarie che normalmente ci aiutano a combattere le cariche batteriche e virali possono giocare un ruolo molto più importante nella malattia di Alzheimer, rispetto a quanto inizialmente si è pensato, secondo i neurobiologi dell’ Università della California, Sue & Bill Gross Stem Cell Research Center e del Memory Impairments and Neurological Disorders.
I ricercatori sono giunti a questa conclusione quando i topi geneticamente modificati per sviluppare la malattia di Alzheimer, in mancanza di importanti cellule immunitarie nel sangue, hanno sviluppato le placche amiloidi nel cervello, associate alla malattia di alzheimer, molto più rapidamente.
Secondo Mathew Blurton-Jones, Assistente Professore di neurobiologia e comportamento e Samuel Marsh, la scoperta potrebbero portare alla creazione di nuove tecniche per aiutare a identificare e forse anche curare, individui a rischio di sviluppare la malattia.
L’Alzheimer è la principale causa di demenza legata all’età e si pensa possa essere causata da un accumulo di una proteina chiamata beta-amiloide che si aggrega per formare placche amiloidi nel cervello. La microglia, cellule immunitarie che si trovano nel cervello, tentano di rimuovere questo accumulo, ma senza successo. Anche se molti studi hanno esplorato il ruolo della microglia nel morbo di Alzheimer, pochi ricercatori si sono chiesti se un diverso insieme di cellule immunitarie chiamate cellule T e cellule B che si trovano al di fuori del cervello e svolgono un ruolo importante nelle malattie autoimmuni, potrebbe anche avere un impatto sul morbo di Alzheimer.
Per verificare questa idea, Blurton-Jones e Marsh hanno allevato topi geneticamente modificati per sviluppare la malattia di Alzheimer. I topi erano privi di tre principali tipi di cellule del sistema immunitario: cellule T, cellule B e cellule NK. Sei mesi più tardi, quando il cervello di questi topi è stato confrontato con quello dei topi di Alzheimer con un sistema immunitario intatto, gli scienziati hanno trovato un numero più che raddoppiato di accumulo di beta-amiloide.
“Siamo stati molto sorpresi dalla portata di questo effetto”, ha detto Blurton-Jones.
Per capire come la perdita di queste cellule immunitarie aumenta le placche beta-amiloide, Blurton e Marsh hanno esaminato le interazioni tra queste cellule periferiche e la microglia all’interno del cervello.
“Abbiamo scoperto che nei topi di Alzheimer con sistema immunitario intatto, anticorpi – prodotti da cellule B – si sono a accumulati nel cervello e associati alla microglia. Questo, a sua volta, ha contribuito a ridurre le placche beta-amiloide”, ha spiegato Marsh.
Per confermare ulteriormente l’importanza di questa interazione tra le cellule immunitarie nel sangue e quelle nel cervello, i ricercatori hanno trapiantato cellule staminali del midollo osseo di topi sani in topi immuno-deficienti di Alzheimer. Dalle cellule staminali del midollo osseo si sono sviluppate cellule del sistema immunitario T, B e NK che hanno portato ad una ricostituzione delle cellule immunitarie mancanti. Questo ha permesso alle cellule B di produrre anticorpi che ancora una volta hanno raggiunto il cervello aiutando la microglia a sradicare le placche beta-amiloide.
“Sappiamo che il sistema immunitario cambia con l’età e diventa meno capace di produrre cellule T e cellule B”, ha detto Blurton-Jones. “Quindi, rispondere alla domanda se l’invecchiamento del sistema immunitario negli esseri umani potrebbe contribuire allo sviluppo del morbo di Alzheimer, è la prossima domanda a cui vogliamo dare risposta”.
Fonte: UCI news