La fibrosi cistica è una malattia genetica che colpisce una su 3000 persone.
Uno dei principali segni di fibrosi cistica è che il muco tropppo denso presente nei polmoni, pancreas e altri organi impedisce agli organi di funzionare correttamente e nei polmoni, attira batteri e virus con conseguenti infezioni croniche.
I ricercatori dell’Università del Missouri hanno recentemente scoperto che in realtà, nella fibrosi cistica il muco resta bloccato all’interno di alcune cellule che lo producono piuttosto che rimanere bloccato sui rivestimenti esterni degli organi.
Lane Clarke, un professore di scienze biomediche del MU College of Veterinary Medicine, afferma che questa migliore comprensione di come il muco resta intrappolato all’interno del corpo può permettere agli scienziati di cominciare a lavorare su potenziali trattamenti che aiutano le cellule a rimuovere rapidamente il muco nei pazienti con fibrosi cistica.
” Normalmente cellule speciali producono muco e lo spingono al di fuori degli organi a cui appartengono”, ha spiegato Clarke che è anche ricercatore del MU Dalton Cardiovascular Research Center. ” Tuttavia, in pazienti affetti da fibrosi cistica, alcune cellule che producono il muco, non riescono a liberarsene completamente in modo che esso resta bloccato a metà strada, nelle cellule che lo hanno prodotto. Questo, consente potenzialmente ai batteri di avere un percorso più facile per infettare le cellule e causare malattie come la polmonite”.
Clarke ha esaminato le caratteristiche del muco memorizzate all’interno delle cellule produttrici ed ha trovato che esse non hanno la stessa acidità delle cellule normali.
” In precedenza, i ricercatori erano in disaccordo sul fatto che nella fibrosi cistica le cellule presentano anche un difetto di corretta acidificazione. La scoperta di un difetto di acidità nelle cellule di fibrosi cistica è molto importante perchè la mancanza di acidità rallenta il rilascio di prodotti secreti da altre cellule. Questa nuova comporensione ci permetterà di inizire ulteriori indagini per capire che cosa provoca questa mancanza di acidità e potrebbe rappresentare un altro percorso per lo sviluppo di trattamenti per la malattia”, ha concluso il ricercatore.