L’infiammazione è stata a lungo studiata nella malattia di Alzheimer, ma uno studio controintuitivo, condotto dai ricercatori della University of Florida, ha scoperto come i processi antinfiammatori possono scatenare la malattia.
Questo processo antinfiammatorio potrebbe effettivamente innescare la formazione di grumi di proteine che formano le placche nel cervello. Queste placche bloccano la capacità delle cellule cerebarli di comunicare e sono una caratteristica ben nota della malattia.
La scoperta suggerisce che potrebbe essere necessario individuare trattamentri specifici per pazienti affetti da Alzheimer, a seconda di quale forma di apolipoproteina E essi recano nei loro geni.
I ricercatori hanno dimostrato che l’interluchina 10 o IL10, può effettivamente aumentare la quantità di apolipoproteina E o APOE proteine e quindi favorire la formazione della placca che si accumula nel cervello, come dimostrato in un modello murino di alzheimer.
Lo studio è stato pubblicato oggi, sulla rivista Neuron.
Nel 1999 i ricercatori hanno teorizzato che gli antinfiammatori non steroidi o FANS possono proteggere le persone dal rischio di alzheimer poichè riducono l’infiammazione che causa una cascata di proteine dannose. Anche se i FANS hanno dimostrato di essere efficaci in alcuni studi, alcune ricerche che hanno valutato pazienti che hanno assunto FANS nel corso del tempo, non hanno dimostrato alcun beneficio protettivo trasparente.
In precedenza i ricercatori hanno ipotizzato che una marea di proteine chiamate citochine, impegnate nella promozione dell’infiammazione nel cervello, contribuiscono alla formazione della placca nella malattia di alzheimer. Tuttavia, in questa pubblicazione, i ricercatori dlla UF forniscono nuove prove che gli stimoli antinfiammatori possono effettivamente aumenatre la formazione della placca.
“Questo studio è un elemento di prova che ribalta l’ipotese di lunga data che ” una tempesta di citochine”crea un ciclo di feedback neurotossico” che promuove la deposizione di beta amiloide ( placca)”, ha dichiarato Paramita Chakrabarty membro dell’UF per la Ricerca Traslazionale Malattie Neurodegenerative e coautore dell’articolo.
Il rischio di sviluppare l’alzheimer dipende dal rapporto tra IL-10 e APOE. Esistono molte forme diverse di APOE che differiscono tra loro solo per uno o due amnminoacidi. ” Il modello chiamato APOE4 è il più grande fattore di rischio genetico noto nella malattia di alzheimer, mentre APOE2 è considerato protettivo”, ha spiegato Golde.
In questo studio, i ricercatori hanno dimostrato che la proteina antinfiammatoria IL-10 in realtà aumenta i livelli di tutti i tipi di APOE, nei topi. Nel modello murino, APOE si lega con beta amiloide e accelera l’accumulo di placca nel cervello. Come una terapia antinfiammatoria potrebbe alterare il rischio di alzheimer, può dipendere dalla variante genetica delle proteine APOE. Se una persona ha un allele APOE4, secondo i ricercatori il rischio della malattia potrebbe aumentare.
” In un certo senso, questo studio offre ulteriori indizi su come le influenze ambientali interagiscono con genotipi sottostanti delle persone e modificano il loro rischio di malattia”, ha detto Golde. ” Sappiamo che le persone sono esposte a diversi stimoli infiammatori o antinfiammatori, per tutta la vita. A seconda del loro genotipo, l’esposizione può in alcuni casi proteggere dalla malattia o in altri casi, aumentare il rischio”.
Fonte http://www.eurekalert.org/pub_releases/2015-01/uof-rsa012215.php