Una variante genetica del SPG7 gene è associata ad un aumentato rischio di malattia cardiaca. Ricercatori dell’Università di Ottawa Heart Institute hanno dimostrato che questa variante aumenta il rischio cardiovascolare avviando stress ossidativo nei mitocondri (mostrato in rosso) che porta a infiammazione cronica e danni a lungo termine dei vasi sanguigni.Credit: University of Ottawa Heart Institute
Un nuovo studio, condotto da ricercatori dell’ Università di Ottawa Heart Institute (UOHI), pubblicato oggi in Cell Reports, fa luce su un gene misterioso che probabilmente influenza la malattia cardiaca.
Dopo cinque anni, i ricercatori UOHI ora sanno come funziona una variante genetica e sospettano che essa contribuisce allo sviluppo di malattie cardiache attraverso processi che promuovono l’infiammazione cronica e la divisione cellulare.
I ricercatori del Ruddy Canadian Cardiovascular Genetics Center inizialmente avevano identificato una variante in un gene chiamato SPG7 come un potenziale collaboratore di malattia coronarica diversi anni fa.
Il gene contiene le istruzioni per produrre una proteina chiamata SPG7. Questa proteina risiede nei mitocondri – le piccole centrali delle cellule-. Il ruolo di SPG7 è quello di aiutare ad abbattere e riciclare altre proteine danneggiate all’interno dei mitocondri.
Normalmente, SPG7 richiede una proteina partner per attivarsi e iniziare questo processo di rottura. Ma, in persone che portano la variante genetica in questione, SPG7 può attivarsi in determinate circostanze, con conseguente aumento della produzione di radicali liberi e più rapida divisione cellulare.
Questi fattori contribuiscono a infiammazione e aterosclerosi.
“Pensiamo che questa variante fa sicuramente aumentare lo stato di infiammazione e sappiamo che l’infiammazione è coinvolta nel diabete e nella malattia cardiaca”, ha detto il dottor Stewart, del Ruddy Canadian Cardiovascular Genetics Center e autore senior dello studio. “È interessante notare che la variante rende anche le persone più resistenti agli effetti collaterali tossici di alcuni farmaci chemioterapici”.
Da un punto di vista evolutivo, questa resistenza potrebbe aiutare la variante genetica ad ottenere un posto stabile nel genoma umano. Tra il 13 e il 15 per cento delle persone di discendenza europea, sono in possesso di questa variante.
“L’idea di mitocondri che contribuiscono all’infiammazione non è nuova”, ha concluso il dottor Stewart. “Ma ciò che è nuovo è che abbiamo trovato uno degli interruttori che regolano questo processo. Siamo entusiasti, perché una volta che sai dove gli interruttori sono, si può iniziare la ricerca per agire su di essi”.
Fonte Cell Reports, 2014; 7 (2): 339 DOI:10.1016/j.celrep.2014.03.034